Un trionfo dei valori
L’ultimo d’una serie di 14 articoli sulla rivoluzione spirituale dietro alla caduta del comunismo 30 anni fa.
Un decennio dopo l’annus mirabilis del 1989, che ha visto crollare l’Europa dell’Est come un castello di carte, il presidente ceco Vaclav Havel invitò certi dirigenti chiave di quell’era al Castello di Praga per celebrare il decimo anniversario della Rivoluzione di Velluto.
Dopo averli ricompensati tutti con il più grande onore della Repubblica Ceca, l’Ordine del Leone Bianco, una tavola rotonda si trasformò in un dibattito acceso tra gli ex dirigenti. Helmut Kohl (Germania), Margaret Thatcher (Regno Unito), George Bush (Stati Uniti), Mikhail Gorbaciov (URSS), la vedova di François Mitterrand, Danielle (Francia), e Lech Walesa (Polonia) condividevano delle interpretazioni molto diverse sugli eventi ‘dell’anno magico’.
Per Thatcher, la caduta del comunismo era un trionfo della libertà e del capitalismo. La Gran Bretagna e gli Stati Uniti avevano mostrato la via da seguire, lei dichiarò, dandosi il merito per la caduta del comunismo. “La libertà richiede lo stato di diritto. Noi e l’America abbiamo tutto questo,” lei dichiarò. “Il due alleati continueranno ad esportare i loro valori ed il loro modo di vita”, lei aggiunse.
Il cancelliere Kohl rispose al suo trionfalismo angloamericano con un silenzio di pietra, mentre il moderatore, il professore di storia d’Oxford Timothy Garton Ash, suggerì diplomaticamente che altre democrazie europee avevano pure lo stato di diritto ed avevano ugualmente contribuito ad ispirare le speranze dell’Est per la libertà.
Gorbaciov, premiato con il Premio Nobel della Pace per aver rifiutato di ‘inviare i carri armati’, ammonì la Thatcher per la sua ‘retorica di stile comunista e per la sua ideologia ristretta.’ Non stava forse ‘seguendo la stessa via’ dei comunisti che vedevano tutto in nero o bianco? Nessun ideologia alla fine del 20° secolo, sia liberale, sia comunista, sia conservatrice, poteva rispondere alle sfide del 21° secolo e ai problemi mondiale futuri, egli sostenne.
Il rispetto invece del disprezzo
Danielle Mitterrand, sostenitrice dei diritti umani, avvertiva contro la crescita dell’ideologia del profitto mascherata sotto il termine di ‘globalizzazione’. Gorbaciov concordava, osservando che il termine ‘globalizzazione’ era spesso considerato come una nuova forma di colonialismo occidentale in tante parti del mondo non-occidentale.
Lech Walesa, ex dirigente del sindacato Solidarietà e primo presidente polacco scelto democraticamente, rimproverò l’Occidente di auto-complimentarsi per la fine del comunismo, fallendo comunque a provvedere un aiuto sufficiente a queste nazioni che cercano ormai di trasformare le loro economie, come era accaduto con il Piano Marshall dopo la seconda guerra mondiale.
Ammoniva che la democrazia era in pericolo a causa del fallimento della riforma economica, del reato, della corruzione ed una nostalgia per le certezze del vecchio regime.
Havel, da cerimoniere, diede l’ultima parola: la caduta del comunismo non è stata il trionfo del liberalismo secolare occidentale, ‘la fine della storia’, come certi lo avevano suggerito. Era invece una vittoria per la dignità umana e per i valori umani universali, un trionfo dei valori, e non quello d’un ideologia su un’altra, d’uno stato contro un altro, d’una superpotenza contro un’altra. La Libertà aveva trionfato contro il disprezzo dei diritti umani.
Ma, ammoniva con prescienza, era una piccola battaglia in una catena infinita di battaglie, perché la guerra continua.
Perché e come
Il dibattito continua ancora oggi. Il trentesimo anniversario di questi eventi è stato l’occasione di dibattere sul perché e sul come l’ordine comunista era caduto così improvvisamente ed in modo inaspettato con così poca violenza.
Tanti si focalizzarono sui fattori economici, politici o militari, citando l’etichetta ‘d’impero del male’ che Ronald Reagan diede all’Unione sovietica, e la sua iniziativa di difesa strategica. Altri attribuirono Gorbaciov per la sua reticenza di rischiare una terza guerra mondiale nell’ambito di mantenere il (dis)ordine del dopoguerra di Stalin. Altri ancora indicano la diplomazia intorno all’Atto finale di Helsinki del 1975, il quale diede un effetto levaagli attivisti dei diritti dell’uomo dei due lati della Cortina di ferro per costruire una resistenza morale ed intellettuale al sistema sovietico. Altre voci affermano ancora che ‘la storia’ l’ha fatto: l’Occidente ha vinto perché era ‘dal buon lato della storia’; il mercato libero e la democrazia diventerebbero finalmente il consenso mondiale, essendo la migliore di tutte le opzioni.
Ogni elemento qui sopra contribuì a questo sviluppo storico molto complesso, cosiccome le comunicazioni mondiali moderne propagando le informazioni e collegando i dissidenti. Eppure, nessuno di questi può spiegare da solo il perché e il come della rivoluzione morale, culturale e spirituale dietro agli eventi del 1989.
Perché la colonna vertebrale della rivoluzione era una ‘quinta colonna’ di lavoratori e d’intellettuali, di dissidenti audaci e di contestatori che pregavano insieme, dei credenti cattolici, protestanti o ortodossi (e dei scettici). Tenendo in conto l’appello di Havel di confrontare la cultura di menzogna cosiccome l’esortazione del Papa Giovanni Paolo II di non aver paura, adottarono le quattro norme di verità, solidarietà, responsabilità e non violenza nelle loro vite pubbliche, nelle loro celle di prigionie, nelle loro chiese e nelle strade.
In ultima analisi, ciò che era importante non era la politica di destra o di sinistra, come Timothy Garton Ash lo aveva osservato, ma ciò che era giusto e ingiusto.
Jeff Fountain
Direttore Centro Schuman
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