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La nostra eredità cristiana può ancora ispirare il progetto europeo? (2a parte)

Scoprite il discorso di punta del Dr Teodor Baconschi nel Forum sullo stato dell’Europa il 9 maggio 2019 a Bucarest (1a parte qui).

Dopo gli anni 1960, l’identità sociale delle comunità cristiane fu separata dalla spiritualità tradizionale, la natura fu rimpiazzata dalla cultura e l’interpretazione escatologica della storia diventò un perseguimento progressivo del paradiso terrestre. Il cristianesimo diventò isolato dalla società generale, mentre la sua eredità culturalmente ghettizzata fu confinata nei musei di storia.

Oggigiorno, la maggioranza degli Europei ambiscono a niente di più di una vita di benessere relativo, che, grazie al progresso enorme accaduto nel campo medico cosiccome grazie alla stabilità concessa dallo stato sociale, è diventata banale. In modo generale, gli Europei si identificano da agnostici e argomenterebbero probabilmente che il significato del cristianesimo nel mondo moderno è diventato trascurabile. Inoltre, facevano fronte a nuove fonti d’ansia, che includevano – anche se non esclusivamente – il potenziale dirompente della digitalizzazione, la paura della migrazione sfrenata, la crescita del populismo, l’incertezza prodotta dai cambiamenti climatici, e forse in modo più importante, la realizzazione che le risorse limitate della terra non possono nutrire la crescita economica all’infinito. Tuttavia, una cosa è chiara, gli Europei hanno perso la maggior parte delle loro aspirazioni metafisiche.

Mentre l’allargamento europeo ha proseguito il suo corso naturale e l’Unione europea ha accolto gli ex membri del Blocco orientale sotto la propria ala, la frattura culturale separando i due fronti dell’Europa è diventata più evidente. Siccome le nazioni che furono liberate dalle catene del comunismo dopo il 1989 erano state omogeneizzate con forza sotto la dittatura, la discrepanza con la loro controparte occidentale era soltanto accentuata dopo la loro adesione all’Unione europea. Malgrado il loro desiderio autentico di diventare membri della comunità europea, definivano la loro identità in relazione ai valori cristiani tradizionali. Questa è la ragione perché il Papa Giovanni Paolo II fu accolto così calorosamente in Romania, esattamente due decenni fa, e incoraggiò l’Europa a respirare con ‘entrambi i suoi polmoni.’ Dovrebbe quindi non essere una sorpresa se la rilevanza politica del discorso religioso ha raggiunto il suo apice in paesi come la Polonia o l’Ungheria. Sin dagli anni 2000, l’élite intellettuale anticomunista dei nuovi stati membri, che cercava soltanto di rafforzare l’unità europea, ha trovato un alleato naturale nel Partito Popolare Europeo.

Oggi tuttavia, la religione ha radunato degli stati orientali (compresa la Russia, dove la Chiesa ortodossa è diventata uno strumento di potere alle mani dell’oligarchia), che a sua volta ha accelerato l’intensificazione dell’euroscetticismo e potenziato le critiche che accusavano l’Occidente di abbandonare il suo attaccamento all’identità e ai valori tradizionali cristiani a favore della correttezza politica ed un impegno ideologico di proteggere le minoranze. Il modo in cui i destini dell’Europa occidentale ed orientale si sono dispiegati è piuttosto sorprendente: quelli che furono elevati nello spirito del materialismo dialettico marxista sperimentano una rinascita del nazionalismo cristiano, autodefinendosi difensori dell’eredità fondamentale dell’Europa, mentre quelli che furono elevati in un contesto plasmato dalla democrazia cristiana sono sottoposti, sarebbe troppo dire, ad un apostasia collettiva, anche se non ne siamo lontani.

Mentre queste conclusioni sono innegabilmente semplicistiche, e forse esagerate dai media sociali e dalle notizie fasulle, reggono fino ad un certo punto. Ad esempio, è un fatto relativamente ben stabilito che le radici giudeocristiane del progetto europeo non sono state riconosciute nel Trattato di Lisbona per non offendere le sensibilità delle comunità musulmane d’Europa. È inoltre vero che il neo-marxismo culturale si è impadronito dei campus universitari occidentali e dei mass media, siccome le élite liberali sembrano sentirsi, ancora una volta, abitati dallo spirito rivoluzionario del 1789. Traumatizzati dalla loro esperienza tragica della dittatura comunista, i membri più recenti dell’Unione europea sono diventati cauti di tutto quello che è relativo alla rivoluzione e al centralismo burocratico sovranazionale. Per questa ragione, la Brexit è stata spesso caratterizzata come un movimento politico legittimo, forse anche auspicabile nella parte orientale del continente. Questo, tuttavia, impone la domanda seguente: Bruxelles ed i governi dei 27 stati membri realizzeranno l’importanza dell’identità religiosa per colmare il divario che mantiene tuttora le metà occidentale ed orientale dell’Unione europea separate? 

Le ex società comuniste sono state secolarizzate dalla forza e radicalmente attraverso l’imposizione dell’ateismo scientifico, che è una componente fondamentale della dottrina marxista-leninista. Trovano adesso la promessa dell’unità e della democrazia europea molto attraente, ma non sono disposti a sacrificare l’eredità filosofica, spirituale ed etica del cristianesimo soltanto al fine dell’integrazione. Analogamente ai membri più conservativi della borghesia occidentale, queste società temono che la loro partecipazione al progetto europeo non sarà mai completa fintantoché l’Unione europea si limiterà ad una valuta, un mercato unico e un numero abbondante di norme e regolazioni sovranazionali, che stonano spesso con le abitudini locali. Per evitare la strumentalizzazione di queste frustrazioni dai movimenti populisti antieuropei, che tendono ad oscillare opportunisticamente tra gli estremi di sinistra e di destra dello spettro politico, l’Unione europea non deve punire gli stati membri, come il Regno Unito per la Brexit, o la Polonia e l’Ungheria per le loro tendenze presumibilmente illiberali.

Anzi, l’Unione europea deve riconoscere le loro lamentele e temperare la sua propria inclinazione per il nihilismo postmoderno ed altri mantra potenzialmente pericolosi, come il transumanesimo. Non vogliamo un’altra guerra civile europea, ed è per questo che l’esacerbazione dei sentimenti nazionalisti dovrebbe essere fermamente opposta; tuttavia, non vogliamo neanche far parte di una comunità europea che rinuncia alla sua identità cristiana e che ignora i desideri dei suoi cittadini di preservare il loro modo di vita, le loro tradizioni ed i loro valori fondamentali. L’unico modo di controbilanciare la minaccia populistica è di assicurarsi che le élite eurocrate rimangano in contatto con i veri bisogni ed esigenze degli elettorati di ogni stato membro. In questo contesto storico unico, la Chiesa gioca un ruolo pedagogico particolarmente importante, cioè quello di assicurarsi che i valori democristiani dell’amore, della pace, della solidarietà, della libertà responsabile e dell’autonomia locale siano pienamente internalizzati, ma anche che i diritti dei popoli di affermare e di difendere la loro identità culturale siano effettivamente protetti. Forse questo forum, che coincide con la presidenza rumena del Consiglio europeo, riuscirà a formulare una chiamata all’azione per un Europa che rimane vera a se stessa, nello stesso modo in cui un numero di intellettuali conservativi lo hanno fatto attraverso la recente Dichiarazione di Parigi.

Grazie per avermi ascoltato. Vi auguro una serie di dibattiti fruttuosi.

Dr Teodor Baconschi

Ex ministro rumeno degli affari esteri ed ex ambasciatore della Romania presso il Vaticano, il Sovrano ordine militare di Malta, la Repubblica di San Marino, la Francia, Monaco, Andorra ed il Portogallo

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