Rendere la guerra impossibile – la storia di Schuman (parte III)
Tratto dal libro di Jeff Fountain Deeply Rooted (parte I qui, parte II qui). Il libro sarà pubblicato prossimamente in italiano.
Lunedì mattina, 1° maggio, mentre il treno arrivava alla Gare de l’Est, Clappier aspettava con ansia il suo padrone. Schuman scese dal suo vagone, salutò il suo Capo di Gabinetto, e senza nessun’altra parola camminò verso la macchina che lo aspettava. Durante il tragitto verso il Quay d’Orsay, Clappier traboccava di curiosità, ma Schuman insistette di parlare soltanto della meteo.
Finalmente Clappier fece direttamente la domanda: “Monsieur le ministre, il documento che le ho dato venerdì scorso, cosa ne pensa?”
“Ho letto la proposta. La userò,” Schuman disse con un eufemismo intenzionale.
Clappier capì subito che i giorni successivi diventerebbero un turbinio di pianificazione e di preparazioni, elaborando e rielaborando. Egli capì inoltre che la discrezione sarebbe cruciale per il successo. Solo la gente giusta doveva sapere, per evitare ogni sforzo di ostacolare il piano.
Schuman e Monnet informarono un primo ministro scettico, ed altri due ministri conosciuti per la loro convinzione per “l’Europa”. Una riunione del gabinetto francese fu organizzata per il 9 maggio, il giorno prima della riunione dei Tre Grandi a Londra.
Il lunedì successivo, l’8 maggio, Schuman informò un funzionario affidabile, Robert Mischlich, di avviare una “missione delicata e segreta”, di consegnare delle lettere ad Adenauer a Bonn delineando il piano segreto.
Il giorno successivo, il gabinetto francese stava arrivando alla fine del suo agenda. Schuman era rimasto silenzioso sulla sua proposta nella riunione, aspettando di sentire l’opinione da Bonn. Finalmente Clappier gli slittò una nota dicendo che Mischlich aveva trasmesso la risposta entusiastica di Adenauer: “Questa proposta francese è in ogni senso storica: restaura la dignità del mio paese ed è la pietra angolare per l’unità dell’Europa.”
Con questa informazione, il ministro degli esteri chiese di aggiungere un nuovo punto urgente nell’agenda. Mise poi sul tavolo il piano e la risposta dell’accordo di Bonn. I due ministri già informati espressero subito il loro appoggio. Altri, colti alla sprovvista dall’audacia del piano, avevano bisogno di più convinzione. Con esitazione, e nonostante qualche perplessità privata, il gabinetto accettò finalmente che la proposta sia presentata in una conferenza stampa alle sei quella sera al Quai d’Orsay, la sede del ministero degli esteri.
Dei testi preparati furono sbrigativamente consegnati agli ambasciatori d’Italia, d’Olanda, del Belgio, del Lussemburgo, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. Delle invitazioni furono mandate a duecento giornalisti.
Tuttavia, quella sera alle sei, soltanto una manciata di giornalisti basati a Parigi erano liberi, con un così breve preavviso, di raggiungere gli agenti del governo, i politici ed i diplomati radunati sotto i soffitti alti, i lampadari e le decorazioni barocche dipinte d’oro del grandioso Salon de l’Horloge.
Schuman si tenne in piedi dietro ad un enorme camino con Monnet seduto al suo lato quando chiese il silenzio. Il pubblico si tacque mentre Schuman si sedette per iniziare a leggere attraverso i suoi occhiali di tartaruga.
La pace mondiale, cominciò, non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Gli sforzi francesi di appoggiare un Europa unita erano falliti nel passato, e la guerra ne fu il risultato. C’era bisogno di passi che creerebbero la solidarietà, ed eliminerebbero l’inimicizia plurisecolare della Francia e della Germania.
Di conseguenza, egli leggeva, il suo governo proponeva un azione specifica e concreta sulla questione decisiva: che la produzione franco-tedesca del carbone e dell’acciaio sia messa insieme sotto una comune Alta Autorità, sopra l’autorità dei governi nazionali, ed aperta all’adesione di tutti i paesi Europei.
Ciò incoraggerebbe delle fondamenta comuni per lo sviluppo economico, e cambierebbe i destini di quelle regioni che furono storicamente consacrate alla produzione di munizioni di guerra, e che furono le vittime le più costante. Schuman si riferiva qui principalmente alle regioni industriali della Saar e della Ruhr.
Questa solidarietà di produzione renderebbe la guerra tra la Francia e la Germania non solo impensabile, ma anche materialmente impossibile.
Schuman alzò gli occhi dal tavolo di fronte a lui, dov’era la sua dichiarazione scritta, per guardare i ranghi di volti in attesa, appesi ad ogni sua parola. L’audacia e le conseguenze di vasta portata della sua proposta non erano perse da nessuno nella sala. Tutto ciò che si poteva sentire, mentre tutti aspettavano che il ministro degli esteri continuasse, era il suono della stenografa seduta direttamente di fronte a lui, catturando ogni parola sulla sua grossa macchina da scrivere.
Quest’unità di produzione, egli continuò a leggere, poserebbe delle vere fondamenta per l’unificazione economica di tutti i paesi desiderosi di parteciparvi. Contribuirebbe ad innalzare i livelli di vita e promuoverebbe dei risultati piacevoli. L’Europa sarebbe quindi capace di focalizzarsi sul suo compito essenziale, lo sviluppo del continente africano.
Un sistema economico comune emergerebbe da una tale cooperazione, portando a dei legami di comunità più profondi tra i vari paesi spesso opposti tra di loro.
L’istituzione di una tale Alta Autorità, le quali decisioni legherebbero la Francia, la Germania ed ogni altra nazione membra porterebbe ad una federazione europea necessaria per la pace duratura, egli concluse.
Una pausa temporanea segnalò l’enormità di ciò che era stato appena proposto, prima che i giornalisti si affrettarono verso i loro uffici stampa.
Jeff Fountain
Direttore Centro Schuman
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