Recensioni di libri – Come (non) essere secolare
Finora, ci sono stati due principali tentativi di rendere il libro di Charles Taylor L’età secolare più accessibile al lettore generale. In How (not) to be secular (come (non) essere secolare), il filosofo James K.A. Smith presenta il magnum opus di Taylor in una mappa tridimensionale per il “terreno complesso e complicato della nostra età secolare” (pg.3)
Pur riconoscendo che una mappa che occupa 800 pagini d’una narrazione storia e d’un analisi filosofica densa è difficilmente accessibile alle folle, Smith cerca di “rendere l’analisi di Taylor accessibile ad un grande ventaglio di ‘professionisti’… artisti o imprenditori, scenaristi o consulenti in concezione, baristi o funzionari politici… ministri, pastori, impiantatori di chiese o lavoratori sociali” (pp. x-xi).
Smith fa un lavoro ammirevole sintetizzando gli argomenti di Taylor e spiegandoli in prose leggibile. Ci sono dei trattamenti ampliati di concetti chiave di Taylor: “il ‘secolare’, il disincantamento ed il se moderno ‘tamponato’, la riforma, il malessere dell’immanenza, le pressioni trasversali e l’età dell’autenticità. Tuttavia è solo nelle ultime dieci pagini che Smith inizia ad indicare chiaramente perché l’opera di Taylor è così importante. La nostra età secolare è trasversalmente pressata (“presa da un eco di trascendenza ed una campagna verso “l’immanentizzazione” (pg.140) in ciò riguarda il senso, il tempo e la morte. L’umanismo esclusivo è nervoso perché è tormentato dalla trascendenza: “il senso che c’è qualcosa di più che fa pressione” (Taylor, pg.727). Il glossario di tre pagini di Smith dei termini e delle frasi tecniche di Taylor vale in esso solo il prezzo del libro.
Se Smith è una condensazione di Taylor, Hansen è un esposizione. In Our secular age (La nostra età secolare), tredici autori vari esplorano la pertinenza delle prospettive di Taylor per la vita e la missione della chiesa, ma pure per le arti, la politica, la medicina e la cultura popolare. Scrivendo da una prospettiva ampiamente riformata, non sarà forse sorprendente che uno dei capitoli sia un ampia critica della visione di Taylor (cattolico romano) sulla Riforma, ma l’impressione globale è che l’opera di Taylor ha aiutato il pensiero cristiano attraverso una molteplicità di discipline.
Gli autori s’ingaggiano generosamente con Taylor, ma allo stesso tempo mettono in evidenza qualche lacuna nella sua analisi. Forse la più penetrante è il capitolo di Carl Trueman che osserva che la storia di Taylor dell’età secolare manca d’influenze chiavi, cioè l’impatto della tecnologia, i mass media e la trasformazione della pubblicità secondo Edward Bernays: “Bernays ha aiutato a creare un mondo dove gli stessi individui che non hanno mai passato la porta di una chiesa perché sono sospettosi dell’autorità faranno la fila per giorni in un negozio Apple per pagare una somma esorbitante per un miglioramento minimo dell’apparato che possedono già. L’assenza di Bernays in Un età secolare, cosiccome nessuna discussione maggiore della cultura popolare commercializzata, è una lacuna significativa” (Hansen, pg.20)
Dei due libri recensiti qui, Hansen è certamente il più facile da leggere, ma quelli che non sono familiarizzati con Taylor lo troveranno comunque difficile da seguire. Anche se Smith cerca ad aiutare i baristi, gli impiantatori di chiese ed i lavoratori sociali ad ingaggiarsi con Taylor, non m’immagino che tanti di loro lo faranno. C’è tuttora una lacuna nel mercato per un Charles Taylor per negati!
James K.A. Smith (2014) How (Not) to be Secular: Reading Charles Taylor, Grand Rapids: Eerdmans;
Collin Hansen (ed., 2017) Our Secular Age: Ten Years of Reading and Applying Charles Taylor, Deerfield: The Gospel Coalition.
Jim Memory
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